L'augurio di Zangrillo ai vincitori del corso-concorso Dirigenti tecnici MiC

1 giugno 2023

Di seguito l'intervento del Ministro per la pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, alla cerimonia di inaugurazione della prima edizione del Corso-Concorso per Dirigenti tecnici MiC:

"Saluto il Ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, la Presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, prof.ssa Paola Severino, il Presidente della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, Vicenzo Trione, il Presidente del Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici, Gerardo Villanacci, le Autorità e tutti i presenti.

Rivolgo un augurio di buon lavoro al Corpo docente e ai vincitori del concorso che da oggi sono chiamati ad intraprendere un nuovo cammino di formazione necessario per costruire le fondamenta su cui poggiare un solido percorso professionale.

Un percorso che è iniziato attraverso una procedura particolarmente selettiva per i funzionari che vogliono progredire la loro carriera e per tutti coloro che hanno conseguito percorsi di studio qualificati attraverso master e dottorati di ricerca.

Dopo aver valutato, nella fase di accesso alla dirigenza pubblica -  in cui sono state raccolte, e ci tengo a sottolinearlo, ben 3.791 candidature - la vostra preparazione “tecnica” sulle materie giuridiche ed economiche, in questa fase sarete chiamati a sviluppare una serie di abilità fondamentali per gestire le trasformazioni che stanno attraversando molteplici ambiti della vita individuale e collettiva.

Mi rivolgo proprio a voi che vi preparate a divenire dirigenti dello Stato. Proprio a voi, al termine del corso di formazione, sarà affidato il compito così delicato ed estremamente rilevante di saper anticipare, comprendere e risolvere le necessità del patrimonio culturale italiano dal valore inestimabile.

Questo arduo compito che vi verrà affidato dovrà essere svolto tenendo ben saldi i valori scolpiti nella Carta costituzionale. Mi riferisco in modo particolare ai principi di buon andamento e imparzialità, sanciti dall’articolo 97; a quello di esclusività a favore della Nazione, così come statuito dall’articolo 98 e, non da ultimo, al dovere di adempiere il vostro ruolo con disciplina ed onore, scolpito nell’articolo 54.

All’interno di questo perimetro costituzionalmente orientato, la pubblica amministrazione, oggi più che mai, anche alla luce della sfida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha bisogno di persone che non devono possedere soltanto una adeguata conoscenza della materia, ma anche tutte quelle capacità che fanno davvero la differenza. Al “sapere” dobbiamo aggiungere il “saper fare” e cioè acquisire e organizzare informazioni, risolvere problemi, e soprattutto collaborare, relazionarsi, assumere iniziative, lavorare in team, saper ascoltare gli altri.

La dirigenza deve poter disporre anche e soprattutto di quelle capacità necessarie per creare “risonanza”, cioè quella sintonia tra persone che permette di massimizzare l’output organizzativo, creando un ambiente di lavoro intriso di fiducia, comunanza d’intenti e condivisione di valori.  

Questa nuova prospettiva implica un salto di qualità per la dirigenza delle nostre amministrazioni e, soprattutto, un passaggio da una attività di tipo prevalentemente regolativo nel quadro di una suddivisione funzionale dei compiti, ad un’organizzazione del lavoro attenta ai fatti nonché ai bisogni del cittadino e delle imprese.

I dirigenti rappresentano una figura fondamentale per il funzionamento delle organizzazioni, ma soprattutto per la crescita del valore del capitale umano. Un dirigente è portatore di competenze tecniche e deve essere riconosciuto come tale dai suoi collaboratori, ma prima ancora è un “gestore” di persone. È proprio al dirigente che spetta la responsabilità non soltanto del presidio tecnico delle attività di sua competenza, ma soprattutto della valorizzazione del capitale umano che gli è assegnato.

Valorizzare significa, innanzitutto, conoscere le persone che ti sono assegnate, il loro profilo di competenza, i punti di forza e di debolezza; significa stimarne il potenziale, assegnare gli obiettivi e valutare le performance. Questo è ciò che mi aspetto dai nostri dirigenti a cui è assegnato il compito di acquisire sempre maggiore consapevolezza del loro ruolo, che non è soltanto quello di “supertecnici” ma è soprattutto quello di “guidare” le persone. Quando si parla di dirigenza trovo assurda quella narrazione fuorviante che poggia le basi sulla distinzione tra dirigenti pubblici e quelli privati. Dalla mia esperienza precedente, vissuta in azienda, posso dirvi che questa dicotomia non esiste: come nel privato anche nel pubblico il dirigente ha le stesse caratteristiche e le stesse responsabilità. Ed è proprio quest’ultimo il termine che descrive meglio tale figura che deve essere in grado di esprimere, appunto, senso di responsabilità e trasmetterlo alle persone che gli sono assegnate.

Vorrei aggiungere, poi, un tema che è abbastanza ricorrente nelle discussioni che attengono al funzionamento della pubblica amministrazione: il merito.

Il Presidente della Repubblica, in occasione della cerimonia per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, ci ha ricordato con lungimiranza che “il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito”.

È proprio con riferimento alla necessità di offrire nuove opportunità che il merito, appunto, assume un ruolo cruciale nel contesto organizzativo proprio perché trattasi di un valore irrinunciabile. Quando si misura il merito di una persona, non si esprimere una valutazione valoriale sulla persona ma, anzi, si declina il suo profilo di competenze, di esperienze, il suo potenziale.

Quindi, valutare il merito significa misurare la capacità che abbiamo di esprimere i nostri talenti - richiamati sapientemente dal Presidente della Repubblica - le nostre virtù; significa individuare le aree di miglioramento, in fin dei conti occuparsi del benessere delle persone.

Significa spronare le persone nella ricerca del risultato, cercare di colmare le loro debolezze, cogliere le loro potenzialità e orientarle a svolgere le funzioni più adatte alle loro caratteristiche. Questo significa valutare il merito.

È un processo non facile, ma dobbiamo lavorare innanzitutto per accompagnare le persone verso il cambiamento. Sarà banale ma il più delle volte i cambiamenti spaventano, disorientano le persone e molto spesso vi è la paura di rimuovere totalmente il passato per fare posto al nuovo, ma come teorizzava Darwin “a sopravvivere non sono gli esseri più forti o quelli più intelligenti, ma quelli che sanno adattarsi meglio al cambiamento”.  Non abbiamo bisogno di riforme eclatanti. Il cambiamento deve avvenire all’interno, pervadendo le nostre organizzazioni. Ecco il duplice significato: se tutto cambia esteriormente, tutto rimane com’è; se tutto rimane com’è, tutto può cambiare interiormente.

Su questo punto, e più in generale, sul tema della performance è fondamentale cambiare approccio. La misurazione dei risultati non può prescindere dalla definizione di strumenti e indici adeguati concepiti non in termini punitivi ma in termini puramente ricognitivi volti a comprendere meglio l’andamento delle attività e delle organizzazioni al fine di offrire soluzioni e indirizzi migliorativi, performanti per l’appunto, orientati sempre e comunque a soddisfare le esigenze dei cittadini e delle imprese nonché al rispetto e al valore delle persone che costituiscono le amministrazioni.

Per questo motivo, il primo passo che ho compiuto, poco dopo il mio insediamento come Ministro della pubblica amministrazione, è stato proprio quello di mettere l’accetto sul tema del merito nell’atto di indirizzo per i dirigenti delle funzioni centrali attraverso l’incentivazione della performance organizzativa e individuale.

A questo aggiungo che il rinnovo dell’ipotesi di contratto collettivo nazionale di lavoro per il triennio 2019-2021, siglato il 25 maggio scorso, che riguarda circa 6200 persone tra dirigenti pubblici e professionisti delle amministrazioni centrali, sottolinea la graduazione della retribuzione accessoria, che dovrà considerare non soltanto i risultati conseguiti, ma anche la natura più o meno sfidante degli obiettivi fissati. Si differenzia, inoltre, la retribuzione di risultato riconoscendo in modo selettivo retribuzioni significativamente più elevate. In questo modo imprimiamo una forte accelerazione al percorso di valorizzazione dei risultati raggiunti da dirigenti e professionisti perché una organizzazione che funziona, che vuole essere attrattiva verso i talenti, non può rinunciare a riconoscere e premiare il merito.

Bisogna scommettere sull’innovazione, sulla partecipazione. Fattori imprescindibili che segnano il passaggio da un modello di azione burocratica ad uno di azione orientata ai bisogni, o meglio, alla soddisfazione degli utenti. Ma questo passaggio è impossibile se non si riconosce e si realizza concretamente un nuovo ruolo per la dirigenza pubblica, un ruolo corrispondente ad una cultura autenticamente manageriale. Non si tratta di affrontare la questione a livello di numeri o prerogative, quanto di possibilità reali di agire secondo il principio della responsabilità.

Per queste ragioni occorre mettere in moto un percorso di motivazione e di valorizzazione. Misure che mirino, innanzitutto, ad imporre il merito come parametro irrinunciabile di valutazione.

È innegabile come, in questo articolato percorso, la Scuola nazionale dell’amministrazione e, in questo caso, la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali giocheranno un ruolo cruciale: l’attività di formazione è necessaria rispetto al corretto funzionamento dell’intero apparato dell’amministrazione pubblica. Non dobbiamo dimenticare che investire in una formazione di alta qualità e specificatamente mirata alle esigenze richieste in una determinata fase storica significa puntare alla costruzione di un’amministrazione ad alto livello di prestazioni e, quindi, più responsabile.

La formazione, vista da questo punto di vista, rappresenta uno snodo cruciale per costruire quel processo di rinnovamento e rafforzamento della pubblica amministrazione ma anche per garantire processi di crescita nelle nostre organizzazioni. Oggi noi misuriamo neanche un giorno all’anno di formazione pro capite, una cifra assolutamente inadeguata rispetto alle sfide che dobbiamo affrontare. Per questo, con una apposita direttiva indirizzata a tutte le amministrazioni pubbliche, ho voluto fornire particolari indicazioni metodologiche e operative per la pianificazione, la gestione e la valutazione delle attività formative, considerate uno dei principali strumenti per migliorare la qualità dei servizi a cittadini e imprese, e affidate ai dirigenti, per i quali rappresentano un obiettivo di performance.

Su questa scia stiamo potenziando la piattaforma Syllabus dedicata a tutti i dipendenti pubblici con cui vengono fornite le conoscenze adeguate per partecipare attivamente alla transizione digitale, ecologica-energetica e amministrativa della pubblica amministrazione a cui presto si aggiungeranno anche corsi specifici sulla recente riforma del codice degli appalti. Una formazione costante al servizio della qualità del lavoro che sia coerente con la mission delle persone impiegate e dei loro uffici ma che sia anche concreta e al passo con le innovazioni del tempo. Attraverso questo di modo di fare formazione le persone hanno la possibilità di sentirsi ingaggiate e a tal fine condividere la missione delle proprie organizzazioni sentendosi parte di “un tutto”.

Ecco, dunque, che dedicarsi alle persone e alle organizzazioni non vuol dire semplicemente occupare spazi, ma significa attivare processi di innovazione in grado di produrre una ricaduta positiva sui diritti dei cittadini. Essere al servizio della Nazione non è solo un dovere costituzionale ma è ciò che dà senso e significato al lavoro quotidiano, in condizioni spesso non prive di disagio, è riscoprire l’orgoglio di partecipare alla costruzione di una comunità, è riuscire a mettere a disposizione degli altri le proprie competenze. È essere consapevoli che lavorare in una pubblica amministrazione vuol dire fornire il proprio supporto per dare sostanza e concretezza all’articolo 3 della Costituzione che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione dei cittadini alla vita economica, sociale e politica.

Alla luce delle sfide che abbiamo davanti è giunto il momento per le pubbliche amministrazioni di affiancare ai corsi di formazione tradizionali “ecosistemi” di apprendimento e laboratori di innovazione.

In questa prospettiva – capace di valorizzare ed integrare, con tempestività e flessibilità, competenze ed esperienze, pubbliche o private che siano – c’è spazio per un impegno a sostenere l’innovazione organizzativa e regolativa nelle amministrazioni.

Si tratta di un approccio fondamentale soprattutto per voi che domani sarete chiamati a dare risposte concrete in un settore così articolato come quello della tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio.

Un settore che assume un ruolo cardine e decisivo per l’assetto economico e sociale del nostro Paese ove esiste oltre il 50 per cento del patrimonio artistico mondiale. Con il primato internazionale per numero di siti dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità e una posizione geografica che fin dall’antichità l’ha arricchita di storia e arte, l’Italia è la culla di un valore inestimabile in termini culturali. Siamo celebri per l’arte, la storia, ma anche per tutti quei processi volti a dare avvio ad un insieme di sistemi produttivi: dal vino alle automobili, dall’abbigliamento ai mobili. Non possiamo però limitarci ad essere soltanto la sede di tante meraviglie: i beni culturali necessitano di tutela, conservazione e valorizzazione tramite interventi diretti, come il restauro e la manutenzione, e interventi indiretti, come la diffusione della conoscenza di un’opera o di un determinato sito.

Ecco, quindi, che il vostro ruolo acquista una rilevanza strategia nell’esigenza di coniugare storia e modernità, tradizione e innovazione. Che per tradizione non vuol dire non tendere verso il cambiamento o l’innovazione ma come diceva Mahler “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”.

Tenere vivo il fuoco significa innanzitutto respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme. Questo è l’errore a cui non deve mai cedere la classe dirigente. Evitare di chiudersi in sé stessa per avvalersi, piuttosto, di un sistema di formazione volto ad accrescere il valore del capitale umano e generare valore pubblico.

È con questo spirito che auguro a voi, prossimi dirigenti, di acquisire competenze e sviluppare conoscenze rafforzando la curiosità e l’impegno come antidoto alla superficialità e all’indifferenza.

Grazie e buon lavoro a tutti".