Il Tempo - Paolo Zangrillo

«La mia nuova Pa che premia il merito e l'innovazione»

25 agosto 2024

Caro Direttore, ho letto con molto interesse, sul Suo giornale, il contributo di Luigi Tivelli sulla necessità di intervenire al fine di garantire qualità e merito nella pubblica amministrazione. Non posso che condividere tale riflessione proprio perché l'«architrave» dello Stato ha esattamente bisogno di questi due fattori: qualità, per offrire ai nostri utenti, cittadini e imprese, servizi sempre più efficienti, e sistemi gestionali che valorizzino e siano capaci di premiare il merito. La pubblica amministrazione, come ogni altra organizzazione, è fatta di persone con le loro caratteristiche, le loro aspettative, i loro bisogni e posso confermare che ci sono tante eccellenze che dobbiamo essere capaci di valorizzare. Se siamo in grado di dotare le nostre organizzazioni di sistemi gestionali innovativi allora possiamo davvero far crescere il valore delle nostre organizzazioni e puntare su una maggiore qualità dei servizi offerti ai nostri utenti. Se, a detta di qualcuno, risulto troppo "silente" è perché la mia precedente esperienza nel privato mi ha insegnato che a pesare sono più i fatti che le parole e proprio per questo motivo ritengo sia utile illustrare ai Suoi lettori le azioni che, finalmente, questo Governo, con coraggio e impegno, ha già intrapreso al fine di modernizzare le nostre amministrazioni. La situazione lasciata in eredità dai precedenti Esecutivi non era affatto semplice e presentava dei deficit significativi, in primis, dal punto di vista quantitativo. In dieci anni, con il blocco del turnover conseguente dalla crisi finanziaria del 2008, abbiamo perso circa 300mila persone; la stagione contrattuale della tornata 2019-2021 scontava un forte ritardo e la formazione media dei nostri dipendenti non raggiungeva nemmeno un giorno all'anno. Un impegno del tutto inadeguato al contesto in cui viviamo, caratterizzato da continui cambiamenti e rapida obsolescenza delle competenze. Abbiamo invertito la rotta per innescare un processo di vero cambiamento culturale all'interno delle nostre organizzazioni in grado di mettere in connessione le nostre persone con le nuove generazioni, e creare quel mix che consente di disporre di solide esperienze ma, al tempo stesso, di poter investire su nuove forze e su nuove energie. Abbiamo inserito 170 mila persone nel 2023 e altrettanto faremo quest'anno e nel 2025. Dall'inizio dell'anno sono stati messi a bando, in tutta Italia, circa 200 mila posti. Sono stati significativamente ridotti i tempi delle procedure concorsuali grazie al portale inPa, diventato l'unico canale digitale di accesso alla pubblica amministrazione. Prima della pandemia il tempo medio di un concorso era di 780 giorni e nel corso del 2023 siamo passati a 6 mesi. È stata implementata la formazione dei nostri dipendenti, che non potrà scendere sotto i tre giorni annui, potenziando il portale digitale Syllabus dedicato all'aggiornamento delle competenze del capitale umano. Dal suo nuovo avvio, nel marzo 2023, si sono registrate oltre 7500 PA per un totale di più di 300mila dipendenti che hanno avviato le attività formative. In soli 8 mesi siamo arrivati a 2 giorni in media di formazione per dipendente, volendo traguardare i 3 giorni entro la fine dell'anno. Nuovo impulso è stato dato, inoltre, ai poli formativi regionali, istituiti in collaborazione con le università e con gli enti territoriali, e dedicati a temi di attualità come l'immigrazione (Calabria), la sanità (Lombardia), l'intelligenza artificiale (Piemonte), la prevenzione delle calamità naturali e la ricostruzione (Abruzzo). Abbiamo chiuso i rinnovi contrattuali della tornata 2019-2021, che scontavano un forte ritardo accumulato dai Governi precedenti e dato continuità, come mai prima era accaduto, avviando in tempi record la nuova stagione per gli anni 2022-2024 attraverso gli 8 miliardi stanziati nella legge di bilancio scorsa. Una cifra importante, soprattutto in considerazione dei vincoli di finanza pubblica e del contesto in cui ci muoviamo. La nostra ambizione è quella di utilizzare queste risorse per incentivare le nostre persone a fare di più e meglio. Ha ragione il direttore generale dell'Agenzia delle dogane e Monopoli, Roberto Alesse, sulla competitività delle retribuzioni nel pubblico con il conseguente rischio di fuga verso il privato. È altrettanto vero, però, che a distinguere il pubblico dal privato non sono soltanto le retribuzioni ma anche i sistemi gestionali: ad un dipendente che riceve una retribuzione di mercato vengono assegnati degli obiettivi, successivamente misurati e se non li raggiunge non potrà avere riconosciuta l'eccellenza. Se vogliamo adottare lo stesso sistema anche nel pubblico dobbiamo essere in grado di fare lo stesso: gestire un sistema di misurazione e valutazione della performance coerente con l'assegnazione di premialità. Sempre sul piano dei fatti - di chi lavora in modo "silente" - abbiamo avviato la comunità di pratica dei direttori del personale e delle risorse umane, delle amministrazioni centrali e territoriali, mai fatto prima, e l'Osservatorio nazionale del lavoro pubblico al fine di confrontarci su come modernizzare le nostre organizzazioni. L'obiettivo è quello di passare dal modello vigente, un "fai da te", in cui per fare carriera un dipendente pubblico deve studiare e vincere un concorso, che di fatto deresponsabilizza la classe dirigente, per passare ad un sistema per "obiettivi" dove si viene valutati e premiati sulla base dei risultati raggiunti. È inutile continuare a nascondersi dietro un dito: tutto questo oggi non esiste e stiamo lavorando con intensità per allinearci alle best practice del privato. Nel frattempo, intorno a me, si alzano voci di chi evoca il rischio di «aziendalizzare la PA». Ma, confesso, non ho capito il senso di questo rischio; se significa che ci stiamo omologando al privato, alla ricerca della performance, vorrei ricordare che performance eccellente si traduce nella capacità di soddisfare le aspettative di cittadini e imprese verso di noi. E allora si, se il senso è questo ben venga l’aziendalizzazione, la volontà di esprimere il meglio dei nostri talenti e del nostro «saper fare». Bisogna avere il coraggio di raccontare la realtà, nella PA che ho trovato il processo di assegnazione degli obiettivi e la conseguente valutazione dei risultati è un processo meramente burocratico, inizia e si esaurisce negli ultimi mesi dell'anno, perché bisogna «compilare un modulo». La conseguenza è che tutti, o quasi, sono valutati eccellenti, non c'è phatos, non c'è voglia di confronto, non c'è ricerca della performance, ma soltanto necessità di realizzare un adempimento formale. Possiamo accettare di far finta di niente e continuare così? Io no, lo rifiuto categoricamente, perché significa abbandonare l'idea di una PA moderna ed attrattiva, significa abdicare all'esigenza di essere vicini alle aspettative dei nostri utenti attraverso la valorizzazione delle nostre persone. Ecco, l'unico rischio che va evitato è l'illusione che il cambiamento avvenga attraverso una "bacchetta magica", una norma, una disposizione di legge, una circolare che dettino le nuove condizioni. Cambiare significa affrontare una rivoluzione culturale, aver il coraggio di mettersi in discussione resistendo all'autoreferenzialità. Ci vuole autentica voglia, tempo e, visto che siamo la spina dorsale del Paese, consapevolezza della nostra missione, alto senso dello Stato. La Corte dei Conti, proprio recentemente, ha certificato l'appiattimento verso l'alto delle valutazioni del personale e l'attribuzione di premialità senza adeguati presupposti meritocratici. È giunto il momento di passare da una logica basata su «premi a pioggia» ad un sistema di misurazione della performance, da legare a percorsi di carriera, per valorizzare il merito, il vero «ascensore sociale» sul quale diventa dirimente scommettere per dare concretezza alla crescita delle nostre amministrazioni. Il merito infatti richiama, per un verso la capacità di esprimere le nostre virtù, il saper fare e il livello di soddisfazione rispetto al proprio impegno e, per altro verso, la necessità di prendersi cura della propria squadra. È quello che i dirigenti, un bravo dirigente, deve saper fare con le sue persone. Il "sapere" non basta, bisogna "saper fare". Oggi più che mai trovo attuali le parole di Socrate che sosteneva come «il segreto del cambiamento è concentrare tutta la tua energia non nel combattere il vecchio, ma nel costruire il nuovo». In questo modo la pubblica amministrazione potrà ritrovare quella attrattività, soprattutto verso le nuove generazioni, attraverso un processo di reclutamento e di crescita stimolante nel quale le persone capaci che si impegnano potranno ottenere importanti riconoscimenti. La rotta verso la «costruzione del nuovo» è tracciata e non mi sembra affatto che siamo così «nei guai». Concludo, caro direttore, con una nota personale. Quando ho assunto l'incarico ministeriale, le persone che più mi conoscono professionalmente parlando, mi hanno subito ammonito; penserai mica di cambiare la PA, un monolite che ha consolidato nei decenni sistemi di autodifesa inattaccabili. Non illuderti... Ebbene, più vado avanti e più maturo voglia di crederci!