la Repubblica - Francesco Bei

Brunetta: "Siamo alla vigilia di un boom. Con le nostre riforme una rivoluzione gentile"

30 maggio 2021

«Ho la sensazione, anzi è più che una sensazione, che siamo alla vigilia di un nuovo boom economico. Il rimbalzo, come tasso di crescita del Pii, sarà più vicino al 5 che al 4% previsto. E forse persino qualcosa più del 5% . Il nostro compito, come governo ma vorrei dire come Paese, è allora quello di non sprecare questa occasione unica e irripetibile, accompagnandola con le riforme».
 
C'è la firma di Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione, nell'ultimo decreto Semplificazioni. Quello che, come si dice ora, dovrà "mettere a terra" le opere previste nel Pnrr. E la prossima settimana sempre Brunetta firmerà un altro decreto, sul reclutamento nella Pa, per assumere quelle centinaia di tecnici e specialisti che dovranno poi attuare il piano.
 
Il boom che prevede non è frutto del Pnrr, dato che ancora non si è visto un euro. Da cosa dipende?
 
«Anzitutto dal clima che si sta creando. Il Pnrr ancora non c'è, i primi 25 miliardi dovrebbero arrivare tra agosto e settembre, ma ci sono già stati il Next Generation UE, il momento Hamilton dell'Europa, con la decisione storica di fare debito comune, e ovviamente l'effetto Draghi, con un governo di unità nazionale guidato dalla personalità più credibile che l'Italia potesse mettere in campo. Tutto questo, insieme al successo del piano vaccinale del generale Figliuolo, sta producendo un clima molto, molto positivo. Stiamo vedendo all'opera gli "spiriti animali" della nostra Italia».
 
In fondo il Pnrr l'aveva scritto il governo Conte, cosa avete fatto di diverso?
 
«Chi ci ha preceduto aveva previsto un piano con circa 200 miliardi di solo fmanziamento europeo da spendere e una sola pagina di riforme. Noi abbiamo portato quei miliardi a 235, aggiungendovi più di 30 miliardi di risorse nazionali, ma le pagine di riforme sono quaranta».
 
Il Pnrr per lei cos'è? Il solito libro dei sogni o stavolta c'è la possibilità di realizzare le riforme che l'Italia aspetta da trent'anni?
 
«Molto semplice. Il Pnrr non è altro che un contratto che l'Italia stipula con tutti gli altri Stati europei che accettano di indebitarsi sui mercati per darci, a condizioni vantaggiose, i soldi che ci servono. Tanti soldi, sia a fondo perduto sia come prestiti. A un'unica condizione: che facciamo le riforme nei tempi giusti, fornendo puntualmente i Sal, gli stati di avanzamento dei lavori».
 
Abbiamo sempre messo un sacco di soldi su investimenti che sono poi rimasti sulla carta, perché stavolta dovremmo farcela?
 
«È vero, il nostro punto debole è sempre stata la macchina pubblica. La nostra manifattura privata funziona, anzi è leader in Europa. Per dirla con Nenni, quella che manca è la stanza dei bottoni. Adesso, anche se ti impegni a triplicare gli investimenti, tutti sanno che non ce la farai a spenderli».
 
Tutto risolto con il decreto semplificazioni?
 
«È un trittico di interventi: govemance del Pnrr, semplificazioni e reclutamento della nuova Pa con concorsi veloci, digitali e trasparenti con al centro il merito. Per tomare alla metafora di Nenni, non c'è solo da mettere i bottoni nella stanza del governo, ma bisogna anche connettere i fili. Altrimenti tu premi il tasto ma non accade nulla. Adesso è un caos, non solo non sappiamo se un investimento è fermo, non riusciamo neppure a capire perché si è fermato. In questa anarchia proliferano le lobby. E l'Italia muore».
 
Dicono che Draghi stia accumulando troppo potere. La regia non è troppo verticale?
 
«Troppo potere? Semmai troppo poco! La verticalizzazione delle decisioni è un fatto di democrazia, è un principio fondamentale di trasparenza sapere chi c'è dentro la stanza dei bottoni, ovviamente con il Parlamento che controlla. Stiamo connettendo un'Italia colpevolmente disconnessa, dove ci sono centinaia di gruppi di interesse che da questa disconnessione hanno alimentato le loro rendite di posizione. Con la verticalizzazione delle decisioni non ci saranno più in agguato i Ghino di Tacco che bloccano tutto».
 
E quali sono questi fili che state connettendo?
 
«Abbiamo previsto il silenzio assenso generalizzato e i poteri sostitutivi. Se qualcuno non fa quello che ci si aspetta interviene il governo al posto del dirigente inerte. E' una rivoluzione gentile, ma ferma».
 
Quel dirigente che fine fa?
 
«Nel decreto che approviamo la prossima settimana prevediamo un "Piano unico" che consentirà anche di monitorare in maniera più efficace la performance dei funzionari, con inevitabili sanzioni. Ma la cosa importante è questa: una volta che la decisione è stata presa, non può essere più fermata».
 
Non vede un pericolo? Dopotutto siamo il Paese degli scempi edilizi. Dovrebbe essere sempre possibile esprimere un dissenso rispetto a una grande opera che impatta su una comunità. Sarà solo deregulation?
 
«Le rigiro la domanda. Tutti gli scempi sono stati forse evitati dagli eccessi di autorizzazioni e dai controlli plurimi che ci sono ora? 0 non sarà piuttosto che gli ecomostri e l'abusivismo edilizio hanno potuto proliferare proprio grazie alla mancanza di trasparenza e alla troppa burocrazia che ha paralizzato lo Stato? Noi non togliamo una virgola ai controlli, ma riduciamo i tempi e diamo certezze agli operatori».
 
Conte è stato crocifisso perché voleva assumere 300 tecnici per il Pnrr, voi ne assumete 350. È così?
 
«Solo 350? No, saranno migliaia. Dobbiamo spendere oltre 230 miliardi in soli cinque anni, come pensa che si possa fare? Abbiamo trovato compagini ministeriali che, a livello tecnico e di funzionali, sono state desertifícate da anni di blocco del turn over. Se vogliamo far ripartire il Paese dobbiamo ricominciare a fare assunzioni. Quelle temporanee, finalizzate al Piano nazionale, e quelle per rivitalizzare strutturalmente i ruoli dell'Amministrazione. Perché puoi anche assumere a tempo un super ingegnere, scegliendo il meglio sul mercato, ma poi ti serve anche il tecnico di qualità del comune che ci sappia interloquire alla pari».
 
Siamo messi così male?
 
«No, non siamo per fortuna all'anno zero. Anzi, le anticipo una cosa. In questo Paese siamo pieni di esempi di successo nel pubblico. Con il ministro Colao vorremmo fare subito una cosa, un'operazione "quick win", una vittoria facile e veloce. Per citare la rivoluzione cinese, prenderemo i cento fiori, le cento esperienze di successo che abbiamo trovato e le faremo diventare casi esemplari per tutto il Paese. Se una cosa funziona in Lombardiao in Puglia, perché non farla funzionare anche in tutte le altre regioni?». 
 
Nelle ultime settimane si sono messi in moto profondi cambiamenti politici. Tutti i partiti sono scossi dall 'esperienza della partecipazione al governo Draghi. Un elettore del 2023 cosa troverà sulla scheda elettorale?
 
«Se il governo Draghi avrà successo, come credo, nulla sarà come prima. Sia il centrodestra che il centrosinistra dovranno cambiare pelle. Al banchetto dell'ipocrisia hanno partecipato tutti, tutti hanno coperto i loro opportunismi con le ideologie e i conservatorismi. Tutti, anche i corpi intermedi».
 
Vede il sovranismo al tramonto?
 
«Penso proprio di sì. Io all'europeismo di Salvini ci credo. All'epoca suggerii alla Lega di votare Von der Leyen, ma Salvini fece una scelta diversa. Stavolta il suo sì all'Europa mi sembra irreversibile. Ma i sommovimenti sono repentini e trasversali, se la sarebbe mai immaginata la lettera garantista di Di Maio sul caso Uggetti? È la bellezza eversiva di questo momento, può accadere di tutto. È il momento Italia».