Corriere della Sera - Paola Di Caro

"Il bipolarismo inganna. Meglio l'agenda Draghi per altri cinque anni"

30 giugno 2022

Non ha paura di andare controcorrente, nemmeno ora che sembra davvero iniziata la campagna elettorale. «Quando la situazione si fa calda, bisogna mantenere la testa fredda» dice Renato Brunetta, economista e ministro azzurro della Pubblica Amministrazione, convinto della necessità che l’agenda Draghi e la sua maggioranza proseguano anche nella prossima legislatura. Lo scontro Conte-Draghi, le liti su Ius scholae, Cannabis? «Altro che crisi su questo o quell’incidente o gossip. Questo tempo richiede senso di responsabilità e di realtà. E coerenza, soprattutto. Inutile dichiarare che il Governo deve andare avanti e poi, con frequenza sempre più ravvicinata, lanciare aut aut. Non è serio».
 
L’alternativa quale è?
 
«Perché affannarsi a pensare a nuovi centri, al centrodestra unito, al campo largo, formule che richiedono dosi sempre maggiori di bandierine ideologiche da piantare e che ci portano fuori strada come sta succedendo da troppo tempo, quando è chiaro, documentato, il successo dell’esperienza che stiamo vivendo? Quando esiste già un programma riformista, riconosciuto dall’Europa, di cinque anni e oltre? Quando c’è già una maggioranza solida e molto ampia a sostenerlo e a portarlo avanti da un anno e mezzo? Ogni altra astrusa alchimia è lontana dai bisogni reali del Paese, oltre che dalla comprensione della gente».
 
Perché non tornare alla dialettica centrodestra-centrosinistra?
 
«Perché non è con un ingannevole bipolarismo bastardo che si fa il bene del Paese. E perché questa formula, ormai superata, produce ingovernabilità: in questa legislatura abbiamo visto nascere tre governi, e quello con vita più lunga è proprio l’ultimo, di quasi unità nazionale, figlio manifesto del fallimento del bipolarismo».
 
Quale è il bene del Paese?
 
«Partiamo da un’evidenza. Mai sono state fatte così tante riforme, in così poco tempo. L’Italia di Draghi ha appena raggiunto tutti i 45 obiettivi Pnrr che dovevamo centrare entro il 30 giugno 2022. Considerando quelli già ricevuti, in un solo anno avremo ottenuto 70 miliardi di euro: una “base” di partenza che può garantire al Paese una trasformazione duratura e una solidità senza precedenti».
 
Quindi perché continuare con l’unità nazionale?
 
«Non sono solo soldi, sono soldi in cambio di riforme. Mantenere gli impegni ha un significato pratico – stiamo seguendo nei fatti il programma riformista del “Next Generation Eu” – ma anche simbolico, in termini di stabilità, credibilità e reputazione del Paese, asset economici invisibili, ma determinanti per il messaggio rassicurante che inviano ai mercati.Stiamo cambiando l’Italia, insieme, e abbiamo un orizzonte preciso di riforme condivise e di relativi progetti e investimenti, almeno fino al 2026. Ecco: siamo solo all’inizio».
 
Quindi il programma c’è e va solo attuato?
 
«Bisogna parlare di agenda “Draghi-Mattarella”. Nel discorso dopo la rielezione, il presidente della Repubblica ci ha ricordato che “viviamo una fase straordinaria in cui l’agenda politica è in gran parte definita dalla strategia condivisa in sede europea. L’Italia è al centro dell’impegno di ripresa dell’Europa”. È tutto scritto là, in quelle parole scandite dagli applausi dell’Aula e ancora attualissime. La fortuna di avere una guida salda e autorevole, riconosciuta in tutto il mondo, non può essere svilita in schemi stantii, vecchi riti nei quali – tra l’altro – due più due rischia di non fare mai quattro».
 
I due poli devono rinunciare a priori a vincere?
 
«È l’attuale sistema elettorale che fa sopravvivere il “bipolarismo bastardo”. Un bipolarismo che forse fa vincere sì ma, a condizioni date, impedisce di governare. Nessuno dei due poli, nell’attuale configurazione, sarebbe in grado di sostenere e perseguire l’agenda Draghi-Mattarella, che è l’unico programma in grado di trasformare l’Italia».
 
Enrico Letta pensa di sì
 
«Ma come può farlo una coalizione costruita sul perimetro dell’Ulivo, il “campo largo” che ancora immagina Letta, ma che di fatto non c’è più, dopo la scissione nei Cinque Stelle? Peraltro, di fronte alle grandi transizioni che ci attendono, quel modello sarebbe, oggi più di ieri, ostaggio delle resistenze ideologiche al cambiamento e alle alleanze internazionali».
 
E Berlusconi che si batte per il centrodestra unito?
 
«Sono fiero della mia Forza Italia, è stato Silvio Berlusconi a volere Draghi premier ed è sempre Berlusconi a sostenere la nostra azione di governo, in ogni tornante. Un vero esempio, per tutti gli altri leader della coalizione».
 
Ma?
 
«Ma non potrebbe portare avanti l’agenda Draghi-Mattarella nemmeno una coalizione di destra-centro egemonizzata da un conservatorismo corporativo, e perciò falsamente liberale, portatore di un’idea riduttiva dell’Europa, e in Europa minoritaria».
 
Una maggioranza quindi con Pd, Fi, centristi?
 
«Io faccio un appello alle forze di ispirazione liberale, popolare e riformista presenti dentro i due schieramenti elettorali: solo sostenendo senza se e senza ma l’agenda Draghi, possono sottrarsi a una subalternità che negli ultimi anni ha ridotto il loro peso, e recuperare un protagonismo. Gli attori futuri sono già tutti in campo adesso, Lega compresa».
 
Serve il proporzionale?
 
«A gennaio, dopo aver approvato una legge di bilancio seria e responsabile, il Parlamento potrebbe decidere a grandissima maggioranza, seguendo la stessa onda che ha portato alla rielezione di Mattarella, la riforma della legge elettorale in senso proporzionale, con sbarramento. Sarebbero sufficienti due settimane, per poi votare a fine maggio, nel pieno rispetto del dettato costituzionale, lasciando così al Governo e alle Camere la possibilità di lavorare fino all’ultimo giorno utile per raggiungere gli obiettivi Pnrr di giugno 2023».
 
Si può lasciare fuori FdI, oggi primo partito?
 
«Intanto vedremo chi sarà realmente il primo partito alle elezioni. Oggi FdI lo è solo nei sondaggi, ma non alle amministrative e non nella storia e credibilità che derivano dall’aver vinto delle elezioni politiche, dall’essere riconosciuti a livello internazionale. In ogni caso auguri a Giorgia Meloni, anche se ricordo a me stesso che il Pd di Renzi, il M5S di Grillo e la Lega di Salvini sono stati, per alcune fasi, primo partito e non solo nei sondaggi…  Ma oggi? La democrazia deve rappresentare. Lecito correre per vincere, però il fine ultimo della competizione democratica è assicurare il miglior governo possibile al Paese. Insomma, non vincere per vincere».
 
Quindi un Draghi bis?
 
«Sarebbe un errore tirarlo per la giacchetta. Basta l’agenda Draghi-Mattarella per tracciare il percorso. Il programma per l’Italia di domani c’è già. Mettiamo gli italiani in condizione di scegliere tra questa rivoluzione in corso e l’ingannevole bipolarismo bastardo, indotto da una legge ormai vera “camicia di forza” per coalizioni innaturali. Il resto verrà da solo».