Ministro Zangrillo: ''Più semplificazioni contro i dazi''
‘’L’obiettivo del Governo resta in prospettiva quello di arrivare a zero dazi. Ma nel frattempo possiamo fare molto per aiutare le imprese, e mi riferisco alle risorse per gli investimenti ma anche, per quel che mi riguarda più direttamente, al lavoro sulle semplificazioni, che stiamo già svolgendo e ora stiamo intensificando».
Prima di guidare il ministero della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo è sempre stato un uomo d'azienda. Ma nell'ottica che tiene a ribadire anche in queste giornate complesse, un confine che separa imprese e Pa non c'è, come mostra un consuntivo dei primi mille giorni al Governo concentrato sul dialogo e il confronto con le imprese su reclutamento, formazione, carriere e, appunto, semplificazioni.
È una strada che deve proseguire, sottolinea il titolare di Palazzo Vidoni ragionando con Il Sole 24 Ore all'indomani della sentenza della Consulta sui tetti retributivi, e mentre si arrivava all'intesa sul contratto dei dirigenti statali.
Ministro, partiamo dai contratti. A che punto siamo?
Abbiamo voluto creare continuità, superando la vecchia prassi dei rinnovi molto dopo la scadenza del triennio. Il percorso che stiamo realizzando deve ancora concludersi, ma registro con soddisfazione le intese su funzioni centrali, sicurezza, difesa e sanità. Avevamo posto come priorità in consiglio dei ministri proprio la sanità e la sicurezza, visti i periodi che abbiamo attraversato, e l'impegno è stato rispettato. L'accordo di ieri sui dirigenti, poi, mi dà speranze anche per gli enti locali a settembre e per l'istruzione.
Finora, però, al tavolo sugli enti territoriali lo stallo ha dominato.
La difficoltà nasce dal fatto che Cgil e Uil hanno da sole la maggioranza. Oggi la Cgil continua a essere irremovibile, con una posizione bizzarra per il sindacato che sottolinea con più insistenza lo svantaggio retributivo degli enti locali, e ai tavoli non negozia ma si limita a ribadire che senza nuove risorse non c'è spazio per accordi. Mi pare invece che la Uil stia maturando un atteggiamento più dialogante, entrando nel merito del confronto sulle proposte. Del resto io stesso ho riconosciuto che le cifre a disposizione non recuperano i picchi inflattivi, ma sottolineo che le medie di aumenti previste per il 2022/24 e il 2025/27 arrivano intorno al 14%, con un'evoluzione importante dei salari che non c'è mai stata in passato.
Secondo lei la differenziazione fra Cgil e Uil è anche politica?
Ribadisco che ai miei occhi il «no» assoluto della Cgil è inspiegabile sul piano sindacale, perché mi chiedo come mai dopo aver firmato il contratto 2016/18, con aumenti poco sopra il 3% a fronte di un'inflazione del 12% maturata nel decennio di stop oggi non mostri alcuna disponibilità. Il comportamento del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, con la sua intransigenza e gli inviti alla «rivolta sociale», mi pare abbia poco a che fare con i tavoli contrattuali, e sembra preludere alla costruzione di una prospettiva politica, in cui non sembra esserci spazio per accordi in questa legislatura.
Passando ai piani più alti della gerarchia retributiva della Pa, ieri la Consulta ha giudicato illegittimo il tetto retributivo dei 255mila euro. Lei stesso in passato ha proposto di superare i limiti generali alle retribuzioni. La sentenza le dà una mano?
La sentenza è ineccepibile, perché quel tetto nasceva per contrastare una situazione di emergenza sui conti pubblici e un'emergenza non può durare 11 anni. Ma il tema non va banalizzato. Quando circa un anno fa esprimevo la necessità di una seria riflessione su questo, lo facevo perché una Pa che ha l'ambizione di coltivare e trattenere talenti deve essere capace di esprimere dinamiche retributive che si confrontino con il privato, rispetto al quale per alcune professionalità i nostri stipendi sono inferiori anche di cinque o sei volte. Ma se la riflessione è seria il confronto con il mercato deve investire anche le dinamiche organizzative, garantendo che i soldi riconosciuti ai nostri dirigenti siano spesi bene. E una Pa in cui il 98% dei dirigenti è giudicato eccellente, questa garanzia non la dà. Quindi dobbiamo prima guardare in casa nostra, e il disegno di legge sul merito risponde a questa esigenza. Dopo aver creato le condizioni per gestirlo in modo serio, possiamo ripensare il meccanismo delle retribuzioni.
Su un terreno più generale, l'attualità stretta pone invece il tema dei dazi. Come giudica l'intesa di domenica scorsa?
La soluzione che al momento è emersa va approfondita nei dettagli, ma è il male minore rispetto alle premesse. Non comprendo gli attacchi a Giorgia Meloni sulla sua responsabilità nel non aver contribuito a un risultato migliore. Bisogna che la sinistra faccia pace con il cervello: o Meloni è ininfluente, quindi non ha responsabilità, o ha responsabilità, quindi è influente. E credo che il contributo italiano sia stato determinante, perché i buoni rapporti fra Roma e Washington hanno giocato un ruolo positivo.
All'atto pratico, si discute molto di aiuti ma per ora non si vedono misure.
Per aiutare le imprese si può fare molto, in termini di investimenti e, per quel che mi riguarda più direttamente, di semplificazioni.
Il Rapporto Draghi chiede di «armonizzare e semplificare le normative nazionali» per rimuovere i «dazi interni» alla Ue.
Abbiamo già fatto diverse cose, l'obiettivo Pnrr chiede 250 semplificazioni entro fine anno e siamo già a 261. Le semplificazioni però non si fanno perché lo chiede qualcun altro, ma perché sono un'esigenza dettata dalle evoluzioni rapidissime di questi anni, tecnologiche e non, e possono essere una risposta alternativa ai dazi. Stiamo intensificando il lavoro sul nuovo decreto, per approvarlo in tempi brevi.
Per chiudere, che consuntivo può trarre dei primi mille giorni di governo, e quali i prossimi passi?
’Nel consuntivo voglio sottolineare in particolare due aspetti. Il primo è l'evoluzione del reclutamento, testimoniata dall'ultimo conto annuale in cui la Pa registra circa 120mila dipendenti in più di due anni fa mentre l'età media è scesa da 51,5 a 48,8 anni, segno che molti dei nuovi assunti sono under 40. Il secondo è la formazione: quando sono arrivato era un adempimento giudicato fastidioso, e limitato a 6 ore medie all'anno. Ora stiamo arrivando all'obiettivo di 40 ore medie, e abbiamo sviluppato l'offerta con le imprese, per esempio sul Codice degli Appalti in cui abbiamo accolto le proposte formative degli operatori per fare in modo che Pa e aziende parlino lo stesso linguaggio, e con i territori, nei cinque poli della Sna già attivati. Adesso dobbiamo correre ancora di più sulle semplificazioni, e completare entro la legislatura la riforma del merito.